Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/203

Lettera quinta

Io non ho per anco risposto alla affettuosissima lettera sua del 26 e 27 dicembre: voglio dire a quella parte che riguarda le cose della sua vita. La quale non mi sembra oscurata dall’aver ella servito quel possente dominatore. No, mio caro conte, l’averlo io sempre politicamente odiato e con perseveranza, non mi toglieva il giudizio sulle grandi qualitá di lui, che a suo gran dispetto nacque in Italia e che noi dobbiamo annoverare tra gli italiani. Ben altra colpa fu la mia del volterismo: e s’ella vorrá perdonarmela, noi dunque siamo amici ed io con orgoglio mi vanterò di questo nome si caro che ella con tanta bontá mi concede. Se amico suo, potrò sperare ormai che ella mi faccia noto ad un uomo di si gran senno e valore qual’è un conte Prospero Balbo, e gli vada significando i sensi della mia stima e del mio rispetto per lui. Non ho veduto ancora il numero 118 dell ’Antologia, dove si parla delle opere sue, non meno che della nuova storia d’Italia: egregio padre di egregio figlio! Accettino di buon animo e l’uno e l’altro il giustissimo tributo dell’ossequio mio e del caldo e vivace affetto mio per la loro gloria: l’uno e l’altro a buona ragione io li ripongo fra i piú insigni ornamenti della dolce patria nostra.

Del disegno del mio lavoro giá le toccai qualche cosa nella mia ultima lettera, e del dovere stretto assoluto rigorosissimo ch’ella ha di continuare la storia generale d’Italia fino al 1789. Non mi rimane, innanzi di riprendere i nostri argomenti storici, se non a parlarle dello stile della sua Storia. Ma come potrei parlarne con imparzialitá? I difetti del suo stile sono i medesimi che io mi rimprovero: quel «tachismo» è il nostro vizio ed il peccato della nostra natura. Troppo rotta e troppo densa ad un tratto! donde risulta quello di che molti accusano Tacito: