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da tutti gli ordini dello stato, io che il condannava, dissi, e non altro io dissi, che bisognava salvar l’onore della nazione. Scrissi però nella Minerva Napolitano, e sostenni la carica d’intendente o di prefetto in una provincia. Non so se io aveva ragione: so benissimo che io non volli altro se non salvare l’onore della nazione. Quando questo fu perduto per quella rivoluzione che io biasimava, mi fu detto che il prendere un passaporto era il consiglio piú sano: ed io il presi, ma (il fatto è pubblico in Napoli) quel mio esilio ebbe tutti gli onori dell’ostracismo. E l’ostracismo divenne per me sorgente di vera pace dell’animo e d’ineffabile felicitá. Piú severi studi mi confortarono allora: ed oh! quanto appresi ad ammirare quel san Gregorio! L’uno dei piú grandi benefattori della cosi travagliata razza dell’uomo! E scrissi che dalla fede cattolica dell’autore procedono in gran parte le piú grandi bellezze della Divina Commedia.

Questo mi procacciò molte ire. Tornato a casa nel 1826, prestai gli ultimi uffici a mio padre, modello di ogni virtú e ricco di ogni sapere: il dolore di averlo perduto e quello di aver dovuto interrompere le mie ricerche letterarie mi cagionarono una malattia di fegato; mia madre stessa pregommi di ripartire. Ma non appena fui ripartito che un pronto divieto mi risospinse nella prima condizione, il divieto cioè di tornare. Che le mie parole intorno a Dante avessero dispiaciuto ad una classe di persone, io mel credeva: ma non credeva io giá che un mio amico, un carissimo amico mio fregiato di ogni valore, avesse a doverle considerare come una colpa. E di mano in mano veniva egli esercitando una potestá inquisitoria sulle opinioni storiche, le quali si andavano successivamente per le mie ricerche formando nel capo mio. Scoppiò infine quando giudicò di conoscer quelle che miravano a chiarir la storia del dominio temporale. Non potendo convincermi, ha in ultimo luogo fatto significarmi che ben io poteva forse avere documenti atti a chiarirla; ma che non era opera cittadina quella di volerli divulgare. Avendo io risposto che il vero o quello che si crede vero intorno a storie di tempi remoti è sempre da dirsi, aman-