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o che non si dimostra essere state occupate da essi: san Gregorio inoltre scrivendo ai cattolici, a malgrado del cangiamento di dominio e della generale distruzione delle romane municipalitá, conservò e doveva conservare le formole pontificie contenute nel libro diurno dei romani pontefici. Gli «aidii» o «tenitori» erano, come ella sa, o ingenui di nascita o servi: quelli vi discendevano per degradazione civica, o per matrimoni disuguali, o per povertá (derogante): questi vi salivano per carta di affrancamento (leg. 227 di Rotari). Fino, sto per dire, ai nostri giorni si vedeva un nobile che volesse darsi al commercio essere nella necessitá in Brettagna di deporre la spada presso il comune senza poterla ripigliare se non quando avesse cessato dai traffici. E però gl’ingenui romani vinti dai longobardi pel fatto solo della vittoria o della loro dedizione perderono la spada, cioè quella che agli occhi dei barbari formava solamente la cittadinanza: e gli scampati alle stragi furono divisi e fatti tributari, cioè «aidii» o tenitori delle loro proprie terre: ovvero tertiatores. Ecco la degradazione civile degl’ingenui ridotti al tributo verso ciascuno dei vincitori. Della stessa natura fu la degradazione volontaria dei dcditilii di Salviano, degli inquilini del codice teodosiano e degli hospites, dei quali parlano Gourey e Ducange: ingenui tutti, ma dalla povertá o da qualunque altra cagione condotti al «colonato»: misera condizione in cui per campare la vita perdevano la cittadinanza; e dopo trent’anni di prescrizione, se non altro, si trovavano conficcati al suolo, per cosi dire. Questa degradazione in alcune carte francesi chiamasi amoindrissement de la personne. Cosi dal governo dei duchi fu «diminuitala persona» degl’ingenui romani: ciò che doveva esser cosi, anche se noi narrasse Paolo Diacono (o piuttosto Secondo di Trento, scrittore di cui si è trovato un frammento). E doveva esser cosi, anco se Paolo il negasse: trattandosi d’una conquista che fecero i longobardi, ferocissima e faticosissima: e di una conquista imperfetta e però sempre paurosa, perché non ebbero giammai tutta l’Italia. Teodorico non venne a distruggere la romana cittá, perché l’ebbe come o successore o messo degl’imperatori: non la distrussero