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Si fatte conquiste non furono durevoli: ina la lingua del vincitore, allorché i vinti non lo agguagliano in civiltá, s’insinua sempre fra costoro e vi lascia indelebili orme. Teodorico poscia introdusse i gotici costumi e parlari nelle romane provincie delle Rezie, del Norico e della Pannonia. Quando i franchi, gli alemanni ed i bavari di Teodeberto re occuparono la doppia Rezia ed il Norico, giá vi trovarono in voga l’idioma ulfilano, donde surse il gotico-teotisco, di cui da Valafrido Strabone si notava nell’820 la simiglianza col linguaggio di Tomi nella Tracia; lá dove per l’appunto fu rilegato in altra etá Ovidio.

19. I popoli possessori d’una lingua, che potea scriversi da quel poeta, sebbene senza i caratteri d’Ulfila, si nel secolo d’Augusto e si nel precedente, in cui s’erano distese le bellagini da Deceneo, non si credeano e non si chiamavano barbari nel concetto latino di tale vocabolo. Ben credo, che i geti o goti ammirassero sul Danubio l’arte greca e latina, ma senza dispregiar le patrie discipline; avendole anzi tanto piú care, quanto convenivasi a coloro i quali ebbero certamente una letteratura qualunque, comecché oggi smarrita, ed ebbero cittá e castelli ed edifici d’ogni sorta prima di predicarsi nelle loro contrade l’evangelio. Quando poscia il geta divenne cristiano, gli nacque ad un’ora l’idea di rizzar tempi all’unico Iddio, piú ampi ed augusti de’ piccoli, che la religione di Deceneo prescrisse in onor della turba de’ suoi numi. Da quest’idea informatrice del cristianesimo rampollarono le nuove forme dell’architettura sacra presso i geti o goti; ed i modelli primieri delle chiese conformaronsi alle regole della liturgia orientale abbracciata da essi; né li tolsero da Bizanzio, che forse non poteva offerirne alcuno, ma dalle nobili cittá dell’Asia Minore. Simili necessitá derivavano dalla natura stessa della civiltá cattolica, eziandio se que’ tempi avesser dovuto costruirsi tutti di legno nel paese, dove giá tanto aveano Zamolxi e Deceneo e Decebalo edificato in pietra, e dove indi s’edificò il gran muro de’ visigoti contro l’unno.

Immenso errore fu perciò il credere, che nella Dacia di lá dal Danubio non si conoscesse alcuna specie d’architettura,