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a loro, accioché per la maggior bellezza che è Dio e per la minore a loro che siamo noi, venissimo a conoscere se stessi ; levandogli, ancora che questo a Lucifero non succedesse, la superbia di non doversi stimare quanto il suo creatore, e dovendosi contentare di essere superiori a tutte l’altre cose. E di qui nasce, per la bellezza loro, che conoscono se stessi, riveriscono Dio e custodiscono noi. Né mai sará alcuno che conosca una vera bellezza, se in parte non avrá in sé parte di bello.
Massimiano. Questa ragione non è per me molto buona. Perché, s’egli aviene che chi non ha bellezza in sé non possa essere capace del bello, segue che io, il quale sono brutto, non debba conoscere i belli; e pure conosco la vostra e l’altrui bellezza.
Leonora. Lasciate me, e non mi rispondete ora d’intorno a niuna bellezza corporale, perché d’altra al presente vi parlo. E, ragionandovi della vera, so che sapete che, se bene ognuno non è un Narcisso in apparenza, non resta però che l’animo non possa esser bello; ché anzi abbiamo dimostrato quanto falsa fosse la openione di quella antica setta, la quale voleva che chi avesse brutta spoglia fosse anco d’anima imperfetta. Però, se voi conoscete le vere bellezze, nasce perché l’animo vostro è senza mancamento e congiunto alla cognizione delle cose divine piú che delle umane. Ed essendo l’anima nostra la piú nobile parte che sia in noi, voi da quella e con quella apprendete il conoscimento del buono e del vero.
Giovan Giorgio. Voi avete mosso questa quistione per esser lodato d’animo bello? Vi so dire che séte di fina lega.
Capello. Or non piú. Seguite.
Leonora. Diede adunque agli angeli (ché sempre mi conviene quasi tornar da capo), come a piú vicini a lui, gran parte della sua bellezza, senza però privarsene punto. Percioché in Dio non si può scemare cosa della quale voglia e sia largo ad altri, essendo egli, come per simiglianza di cosa umana, non altramente che il mare, al quale, benché sia levata una picciola gocciuola d’acqua, che, in quanto all’ampiezza, cosí