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trovano di rado, e che ne vedeste pure in dieci anni uno, non che ogni giorno! È ben verissimo quello che voi dite: che i piú belli, o quelli che paiono piú belli, s’amano piú tosto che gli altri, e piú infino ad una certa etá che poi.

Tullia. E questo onde viene? Non mi allegate le ragioni che sogliono allegare i frati in iscusazione loro.

Varchi. E se fossero buone e vere, perché non volete ch’io le alleghe?

Tullia. Forse che, udendole dalla bocca vostra, le accetterò.

Varchi. Voi dovete sapere primieramente che niuno può intendere o conoscere cosa niuna se non mediante i sensi, e che tra le sentimenta il piú nobile e il piú perfetto è quello del vedere.

Tullia. Tutto so e tutto concedo; ma voi cominciate molto da alto e con proposizioni molto universali.

Varchi. Bisogna far cosí con esso voi, ché vedete il pelo nell’uovo e volete sapere il che e il come d’ogni cosa. Poiché il bello e il buono sono un medesimo...

Tullia. Questo non sapeva io, né lo concedo, perché a questo modo tutti i belli sarebbono buoni.

Varchi. Ben sapete...

Tullia. Guardate. Non vi ingannate. Io, per me, ho conosciuti molti molto belli, ma non giá punto buoni.

Varchi. Ed io ancora. Ma non per questo è falso quanto vi ho detto, conciosiacosaché cotesto è avenuto loro per accidente e non per propria natura, ma o per colpa de’ padri, o per difetto de’ maestri, o per mancamento di amici; e sappiate che quel proverbio è verissimo: «Chi usa col zoppo, se gli appicca». E vo’ vi dir, piú oltre, che que’ tali, quando sono cattivi, sono peggiori che gli altri, anzi sono pessimi.

Tullia. Di grazia, ditemi la cagione.

Varchi. Ha cosí ordinato la natura: che quanto una cosa è megliore e piú perfetta, secondo Tesser suo vero e proprio, tanto, se si guasta e corrompe ed esce dal proprio e vero esser suo, è cattiva ed imperfetta. E per questo è che, come non si può trovare il piú santo e piú benigno ed utile animale dell’uomo,