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me ne vederei mai stanco né sazio; ma non voglio infastidir voi altri.

Tullia. E’ pare che voi non ci conosciate. Voi ci avete ben fatti meravigliare. Io, per me, facendo voi tante scuse, pensai da prima che voleste biasimare Filone: poi, quando vi sentii lodarlo tanto, tenni per fermo, e cosí giucherei buona cosa che tennero questi altri, che voi voleste riuscire altrove.

Varchi. Dove?

Tullia. «Dove» dice? Negli Asolarti del reverendissimo Bembo, e non ne’ Dialoghi di Filone.

Varchi. Perché pensavate voi cosí?

Tullia. Percioché, oltra che quella opera merita tutte le lode di tutti gli uomini, qui non è niuno che non sappia la affezzione infinita che voi portate, giá tanti anni, a Sua Signoria reverendissima.

Varchi. Io porto affezzione e riverenza infinita non al Bembo, ma alla bontá sua; ammiro ed adoro non il Bembo, ma le sue virtú, le quali io non ho mai lodate tanto che non mi paia aver detto poco. E non dico che gli Asolarti , i quali io ho celebrati mille volte, non siano bellissimi e che con la dottrina grande non sia congiunto un giudicio grandissimo ed una eloquenza miracolosa, ma Filone ebbe un altro intento; e, ne’ casi d’amore, penso che si possa dire forse molto piú, e certo con piú leggiadro stile, ma meglio, ch’io creda, no. Ma, di grazia, che non si sappia fuori, che non mi fosse levato addosso qualche romore che mi fossi ridetto o ribellato dal Bembo.

Tullia. Non dubitate. Ma torniamo a’ ragionamenti nostri, e ditemi que’ dubbi che avete ne le cose dette da me.

Varchi. Non vi ho io detto che sono di poca importanza? Ed anche ho paura di non me ne ricordare, oltra che l’ora si fa tarda; onde dubito si di non tenere a disagio questi gentiluomini, e si che non ci rimanga tempo di sentir favellare questi altri, che pur non hanno fatto una parola in tutto oggi.

Tullia. Non pensate a tante cose e non abbiate tanti risguardi, ché senio d’accordo cosí. Seguitate, via!

Trattati d’Amore del Cinquecento.

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