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Tullia. Io comincio ad intendervi, e veggo dove volete riuscire, ma credo non la corrète questa volta. Conchiudete.
Varchi. Io ho bello e conchiuso. Perché ogni volta che mi avete conceduto le due promesse (ché cosí chiamano i loici la maggior proposizione e la menore, delle quali si fa il sillogismo), sete costretta, o vogliate voi o no, a conceder quello che ne viene, cioè la conseguenza.
Tullia. Inferite adunque, e fate questa vostra conseguenza.
Varchi. Se tutti gli amanti hanno qualche fine, e chiunque consegue il suo fine cessa dal moto, cioè non opera piú, ne viene necessariamente che tutti gli amanti, i quali conseguono il fine loro, si contentino e non amino piú.
Tullia. Non si può negare.
Varchi. Adunque Amore ha fine, e si potrá amar contermino; e cosí non sará vera la conchiusione fatta di sopra da voi.
Tullia. Io feci bene la conchiusione, nella quale è poca fatica e se la saperebbe fare ogniuno; ma voi faceste le premesse, dove consiste il tutto. E non crediate che io dica cosí, perché io mi sia rimutata e non mi para vera mediante la vostra obiezzione, ché la tengo verissima. Anzi, avendola per dimostrazione, non posso non crederla e mutarmi mai, pensando che possa essere altramente, se mi avete detto altre volte il vero. Ché chi sa una cosa dimostrativamente e per iscienza, non può mai mutarsi e non la credere. Onde, essendo quella verissima e questa ancora, sono sforzata tenerle per certe amendue. E cosí fo, rispondendovi che niuno amante conseguisce mai il fine suo; ché se lo conseguisse, sarebbe di necessitá verissimo quanto avete conchiuso.
Varchi. Voi dite bene e procedete non solo con ordine, ma dottrinalmente. Ma penso di avere a durar poca fatica a provarvi quello che è noto a ciascuno e che poco fa confessaste voi medesima, quando diceste che molti, ed antichi e moderni, avevano in prima amato e poi lasciato lo amore: che di tanti si può credere che uno almeno godesse di quel piacere, oltra il quale, si come dice il Boccaccio, niuno è piú grande in amore.