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Interlocutori:

Tullia, Benedetto Varchi e messer Lattanzio Benucci.

Tullia. Egli non poteva venir persona ninna, né piú a tempo, di voi, messer Benedetto virtuosissimo, né piú grata, né piú aspettata da tutti noi.

Varchi. Molto mi piace che cosí sia come voi dite, signora Tullia nobilissima. E tanto piú, che io temeva di non forse aver, se non guasti del tutto, almeno interrotti in parte i ragionamenti vostri, i quali so che altro che begli non possono essere, e di cose alte, e degni finalmente cosí di questo luogo, dove sempre si propone qualche materia da disputare non meno utile e grave che gioconda e piacevole, come di cotali persone. Perché mezo mi pentiva meco medesimo di esser venuto, e diceva a punto tra me: — Lasso! Amor mi trasporta ov’io non voglio, dubitando di essere, non vo’ dire presontuoso, ma molesto a chi io disidero di piacer sommamente. — La qual cosa non essendo, tanto debbo piú cosí rallegrarmi con meco stesso, come ringraziare si la molta cortesia vostra, e si quella di questi altri signori e gentiluomini, con buona licenza de’ quali mi porrò a sedere. Con questo inteso però: che voi seguitiate gli incominciati ragionamenti, se per aventura non sono tali che me ne reputiate non degno.

Tullia. Anzi, non meno per questo che per altre cagioni, vi desideravamo noi tanto. Ma io, per me, dubito piú tosto che non vi abbia a parer di stare anzi a disagio che no, e per questo vi sapesse male di essere venuto, e massimamente toccando il favellare a me, per le cagioni che intenderete. La quale, oltra lo esser donna (le quali voi, per non so che vostre ragioni