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esiste azione, non c’è che un dibattito. E la prima impressione è che nell’attuazione scenica dovesse riuscire pesante. Ma l’interesse degli ateniesi vi era avvinto da mille fili che piú non avvincono il nostro. A parte ciò, la discussione giudiziaria è uno di quei motivi scenici, che interessano sempre enormemente gli spettatori. E c’è da credere che anche in una odierna rievocazione, la controversia sulla colpa d’Oreste, ad onta dei cavilli sofistici di Apollo e delle Eumènidi, riuscirebbe piacevole ed accetta.

Né c’è bisogno di rilevare la solennità della scena finale. Le ministre d’Atena, impugnate fiaccole scintillanti, si avviavano al luogo destinato alle Eumènidi. Queste le seguivano. E dietro ad esse muovevano giovinette, donne, vegliarde, tutte avvolte in manti di porpora. E dietro al luccichio delle fiaccole, e dietro questa mobile striscia vermiglia, si avviava lentamente, intonando l’inno di saluto gioioso, tutto il popolo d’Atene. Era come una visione anticipata del divino corteo che circa due decennî dopo gli Ateniesi dovevano ammirare sul fregio del Partenone, nella diamantina cristallizzazione fidiaca. Riconosciamo qui la profonda affinità elettiva che legava fra loro gli artisti attici. Né sapremmo immaginare scena che concludesse con maggiore solennità, con bellezza piú radiosa, la prodigiosa trilogia degli Atridi.