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atto terzo.—sc. iv. | 471 |
Spirito. O vecchio mortale! noi conosciamo noi medesimi, la nostra missione e l’ordine tuo; non si sprechino le tue sante parole in vani usi, sarebbe inutile: costui è destinato. Gliel’imporrò ancor una volta. — Vieni, vieni!
Manfredo. Io vi sfido; — sebbene io senta l’anima mia che rifugge da me, pur vi sfido ancora; nè partirò, finchè ho respiro per esalare su voi il mio scherno e forza terrena per combattere, sebbene con ispiriti; quello che prenderete, converrà che sia brano a brano.
Spirito. O mortale restio! È questo il mago che voleva penetrare il mondo invisibile e farsi quasi nostro eguale? Sarai tu quello, tu così amante della vita? di quella vita che ti rese infelice!
Manfredo. Bugiardo fantasma! tu menti! La mia vita è alla sua ultim’ora, — questo lo so nè vorrei redimere un momento di quest’ora; non contendo contro la morte, ma contro te e gli angeli che ti circondano; il mio passato potere fu acquistato senza alcun patto colla tua schiera, — ma per scienza superiore — affanni — ardimento — penitenze o lunghe vigilie — forza d’intelletto — e profondità nelle cognizioni de’ nostri padri — quando la terra vedeva gli uomini e gli spiriti camminare allato un dell’altro, senza dare alcuna supremazia a voi; la mia forza m’affida. — Vi sfido — non vi riconosco — vi scaccio e schernisco! —
Spirito. Ma i tuoi molti delitti ti hanno reso....
Manfredo. Che cosa sono essi per i tuoi pari? Devono i delitti esser puniti da altri delitti, e da maggiori colpevoli? Ritorna al tuo inferno! Tu non hai sopra di me nessun potere; tu non mi possederai mai, questo io lo so, io lo sento: ciò che ho fatto è fatto; porto qui dentro un supplicio che punto non s’accrescerebbe per mezzo tuo: la mente, ch’è immortale, fa sè stessa premio o pena de’ suoi pensieri — origine e fine de’ propri mali — e invece di luogo e tempo, non ha che l’innato suo senso, quando spogliato di mortalità, non deriva più alcun colore dalle cose che s’agitano esteriormente; ma è assorto nel dolore o nella gioia che risultano dalla cognizione del proprio merito. Tu non mi tenti e non puoi tentarmi; non sono stato tuo ludibrio, nè sarò tua preda. Fui