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atto terzo. — sc. vi. 243

Ti vanti; il fosti: d’esser tale or cessi?
Ermano.Inaudita ingiustizia! Uno consacra
Al filïale ossequio ed all’onore
Tutti i suoi giorni, al tradimento l’altro,
E agli occhi di lor padre eguali sono.
Il Conte.La pecora perduta era del gregge
Or la racquisto, non degg’io esultarne?
Deggio perché ritorna io maledirla?
O Ermano, chiudi a bassa invidia il core;
Aprilo a sensi generosi. Io nulla
Dell’amor mio ti tolgo e della lode
Che mertano tuoi giorni intemerati,
Se ad altro figlio che fallìa perdono. — 1
Che fia? Quel suono ospiti annuncia. — Come?
Di sveve aste un drappello?
Gabriella.                                                       O sposo, io tremo.
Dove siam noi?
Ariberto.                              T’acqueta. A si buon padre
Posare a fianco può securo un figlio.
Il Conte.Ermano, Erman, chi son color? che festi?
Sul padre, sul fratello ardito hai forse
Quelle spade invocar?
Ermano.                                             Da me invocate
Non contra te, contra il ribelle furo
Che a fascinarti venne.
Il Conte.                                             Empio!
Ermano.                                                            Le guida
Il Margravio d’Auburgo: egli udì il messo
Che d’Ariberto m’annunciò il ritorno;
Meco fremé, seguimmi. Eccolo.2
Gabriella.                                                                 Il figlio
Sottraggi, il cela.
Il Conte.                                   Uso a mentir non sono:
Apertamente il figlio mio proteggo.

  1. S’ode un suono di corno; il Conte va alla finestra.
  2. Al Conte.