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AD ONORATO E MARIA

MIEI GENITORI.


Sebbene elle abbiano per modestia l’animo alieno dall’accettare, pur da un figlio, pubblica testimonianza di venerazione, ardisco questa volta di porre in fronte ad un mio libro i loro diletti nomi.

L’abuso delle dediche non toglie che ve n’abbia di consentite dalla ragione e dal decoro, come sono quelle in cui un autore attesta riverenza a persone degne di tale affetto. Io debbo tutto ai carissimi genitori, e fra altri beni quello inestimabile di avere per essi i più alti motivi di gratitudine; in guisa che di nulla tanto mi compiaccio, quanto di essere loro figlio. No, non vorrei aver avuto la culla in qual siasi più splendida fortuna, e sarei altero e contento della vita, se fossi anche un misero artigiano, purchè avessi i parenti che la Provvidenza m’ha dati.

Indelebili nella memoria mi sono i giorni in ch’ella, o padre, iniziava i figli suoi agli studi; ed insegnando loro a verseggiare, avvertiva non dover l’ingegno coltivarsi per invanire, ma bensì per amore del bello intellettuale e per l’armonia che questo bello ha colla virtù. Indelebili del pari, o madre, le infinite cure da lei prodigatemi, ed in singolar modo l’aver cooperato ad ispirarmi l’amore della lettura, non solo coi consigli, ma coll’esempio, quantunque null’altro ambisse che possedere tutti i meriti di madre di famiglia.