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che gli sorgerebbero ogni giorno impetuose nel cuore, per essere di nuovo ogni giorno con una lotta violenta respinte e soffocate.

Doveva prendere per sè il calice che Vincenzo aveva voluto allontanare, la croce sotto la quale era caduto: una vita senza amore.

Doveva farsi prete.

Il benefizio, per volere del testatore, in caso che il ramo primogenito dei Dogliani non avesse un figlio prete, doveva passare ad un figlio del ramo secondogenito, che volesse abbracciare la carriera ecclesiastica. E, soltanto nel caso che anche questi mancasse, il capitale sarebbe passato ad un'opera pia. Egli solo dunque era come fatalmente indicato, per risolvere la situazione dolorosa che aveva portato il carattere violento di Vincenzo ad un partito disperato.

Anche l'anima generosa di Vicenzino si ribellava a quell'immenso sacrificio. I suoi vent'anni l'impaurivano; il pensiero dell'Elena lo faceva piangere.

E pianse lungamente, scosso da forti singhiozzi, un pianto amaro, disperato. Aveva sempre dinanzi al pensiero il giorno in cui Vincenzo era andato a cercarlo alla fattoria, orfano, solo, miserabile, e l'aveva condotto a suo padre; e questi, aprendogli la sua casa, gli aveva detto: «Entra.»

Sentiva che doveva tutto in compenso di quella generosa ospitalità; eppure rimaneva perplesso, raccapricciava dinanzi all'audacia di quella risoluzione.