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, e, bollente di patriottismo, non pensò che ad ottenere da suo padre il permesso d'uscire temporariamente dalla sua prigione per andare a battersi. Il signor Anselmo Dogliani non era uomo da opporsi.

Verso la fine di maggio i due cugini partirono per Milano, eccitati dalla novità del viaggio, dei nuovi paesi, della guerra, comperando ad ogni stazione giornali e proclami, stringendo amicizia coi giovani della loro età che viaggiavano verso la stessa meta, sognando la camicia rossa e la vittoria.

Ma furono presto separati. Vicenzino rimase ferito nel primo scontro a Ponte Caffaro, e fu trasportato all'Ospedale di Salò. Vincenzo andò solo a Monte Suello ed a Bezzecca, col cuore diviso tra l'entusiasmo della guerra e l'ansietà per l'amico lontano; ed appena i corpi volontari furono sciolti, corse a raggiungerlo. Vicenzino era fuor di pericolo, ed in istato di essere condotto a casa. Ma era ancora debolissimo; il viaggio era lungo, il caldo opprimente. Bisognò farlo viaggiare comodamente, lasciarlo riposare una notte a Milano, un'altra a Novara. Vincenzo lo accompagnava con una sollecitudine affettuosissima, scegliendo i treni del mattino per evitargli l'ardore dei vagoni infocati dal sole di agosto, procurandogli i brodi sostanziosi di cui aveva bisogno, reggendolo fra le sue braccia quando doveva fare qualche passo. Vicenzino, colla mente confusa dalla eccessiva debolezza,