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più attiva. L'Elena invece aveva dei gusti signorili. Le sue mani erano sempre bianche, e ne aveva una cura grandissima; portava i suoi vestiti, più che modesti, con un garbo squisito, e trovava sempre modo d'avere un fiore nei capelli e qualche nastro sul petto. Delle faccende domestiche aveva scelta la più pulita. Riceveva e raccomodava il bucato. Il tavolino da lavoro dove altre volte si occupava come sapeva meglio la Caterina, ora era diventato il posto dell'Elena, che ne aveva coperto il cuscino con un ricamo, e ci aveva messo accanto un bel cesto di vimini ricamato anch'esso, nel quale riponeva la biancheria da rammendare. Nella cassetta del tavolino teneva sempre qualche libro, e tratto tratto lasciava il lavoro per leggere un poco.

Vicenzino studiava allo scrittoio poco discosto, e quando aveva finito, non aveva che da voltare la sedia per trovarsi accanto al tavolino dell'Elena, in faccia a lei. Le parlava del libro che stava leggendo, delle lettere di Vincenzo, della sua infanzia triste da fanciullo malato, dell'America; le confidava i suoi disegni d'avvenire.

— Sono avvezzo a studiare da solo. Nel tempo che sarò soldato studierò sempre, assiduamente, e quando ritornerò, potrò avere il diploma superiore per insegnare nei licei. Allora avrò una buona situazione.

Non diceva di più. L'Elena era troppo bambina perchè egli osasse parlarle d'amore. Ma pensava che nei due anni che gli rimanevano,