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assai maggiore, dacchè sapeva che il signor Anselmo viveva quasi meschinamente, e la sua ammirazione per quello zio, facendosi più grande, aumentava la sua tristezza per i ricordi del passato.

Anche Vincenzo, con grande stupore delle sue sorelle, parlava poco ed era spesso impensierito. Quando, con una vecchia burla che aveva sempre lusingata la sua vanità, lo chiamavano arcivescovo, non s'insuperbiva più affatto, e con quella cortesia che si usa tra fratelli e sorelle, scoteva le spalle e borbottava: «Stupide».

La Laura, discorrendo coll'Elena di quel cambiamento, diceva:

— Non è più tanto vanitoso Vincenzo; si va migliorando.

Ma l'Elena, che non era assorta nelle faccende di casa, per le quali non aveva gusto, ed aveva più agio di studiare il fratello, rispondeva impensierita:

— Chissà che cos'abbia, povero Vincenzo!

Una mattina che i due giovani erano usciti a fare una lunga passeggiata sulla neve gelata della strada maestra, incontrarono un gruppo di contadine con dei panieri di ova e pollame, che andavano a vendere a Santhià. Una bella donnona sulla trentina, che camminava davanti a tutte, dondolandosi sui fianchi, guardò arditamente in faccia Vincenzo, poi, ammiccando alle compagne con un riso maligno che le scopriva dei bellissimi denti, susurrò abbastanza forte per essere udita: