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Vicenzino lo seguiva dovunque assorto nella gioia di aver raggiunto il suo ideale. Avrebbe voluto Vincenzo più quieto, più esclusivamente suo. La brigata dei compagni, che si tirava sempre dietro, lo manteneva così distratto, che non poteva fissarsi sopra un'idea, e la continua eccitazione dei giochi che lo attraevano, paralizzava la sua immaginazione ed il suo cuore. Non era possibile ottenere da lui un discorso intimo, una confidenza, uno sfogo d'espansione. Era troppo divagato. Ma tuttavia era là accanto a Vicenzino; tratto tratto gli saltava al collo o gli dava un urtone, non erano più estranei l'uno all'altro, si davano del tu...

Tutti e due pensavano qualche volta al seminario, che doveva separarli. Vincenzo ne parlava con orgoglio. Il seminario era il primo passo verso la sua futura grandezza.

— Quando dirò la prima messa, diceva, si farà una gran festa. Il babbo darà un pranzo magnifico, perchè il benefizio è mio. Tu mi scriverai un sonetto apposta, ed il municipio farà i fuochi d'artificio...

Vicenzino lo ascoltava con deferenza, poi gli domandava dolcemente:

— Mi scriverai quando sarai in seminario? E si consolava un poco della loro prossima separazione, riflettendo che, nelle lettere, avrebbe osato meglio esprimere tutta la sua tenerezza, domandare un equo ricambio di quell'amicizia che sentiva con tanta intensità, e che Vincenzo pigliava un po' troppo alla leggera.