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TERZO 77J secolo precedente compaion di molto inferiori, e non vi si vede nè quell’eleganza di stile, nè quella forza di raziocinio, che è il miglior pregio di tali componimenti. L’Eritreo, scrivendo nel 1646 al suo Tirreno, cioè a monsignor Fabio Chigi, che fu poi papa Alessandro VII, e narrandogli il piacere con cui avea pochi giorni innanzi ascoltate alcune orazioni dette da’ maestri Gesuiti del Collegio romano nel riaprimento delle loro scuole, e quelle principalmente del P. Ignazio Bompiani, di cui se ne hanno molte alla stampa (V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 2 , par. 3 , p. 1513 , ec.), insieme colle lor lodi congiunge la critica di alcune altre che negli anni addietro si erano udite, scritte secondo il gusto del secolo: Atque gavisus sum, dice egli (Epist. ad Tyrren. tom. 2, p. 75), Magistros illos orationem suam ad veterum, hoc est Ciceronis, Caesaris, aliorumque ejus notae Scriptorum similitudinemy a qua se abstraxerant., conformasse. Nam superiores Magistri contra veterem merem in fracto, conciso , obsuroque quodam genere dicendi versabantur, ut quid dicerent, quidve non dicerent, mihi, qui tardo hebetique sum ingenio , perspicuum esse non posset, atque oratio, quae lumen debet rebus afferre, obscura easdem caligine ac tenebris involveret. Le orazioni italiane non sono comunemente molto migliori delle latine, anzi i discorsi accademici e altre simili dicerie della maggior parte degli scrittori di que’ tempi sono così sciapite, che non può sostenersene la lettura. La Toscana fu presso che la sola provincia d’Italia in cui il reo gusto 11011 penetrasse*, e