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TERZO l8<)5 singolarmente nelle lor prose; e Domenico Veniero, come si è detto, cominciò a corrompere alquanto la poesia. Ma il Grotto andò ancora più oltre, e le prose e le poesie di esso appena si crederebbono scritte nel secolo xvi. Il sonetto fra gli altri Mi sferza e sforza ogn hor lo amaro Amore Rime, Ven. 1587, p. 51 è un tal intreccio di bisticci e di giuochi di parole, ch’ io non so se ne abbiano de’ peggiori l’ Achillini e il Preti. Io credo che l applauso con cui cotai libri vennero accolti, fosser dovuti alla cecità dell’autore più che al loro merito. Ma frattanto essi pur furono applauditi; e da ciò venne che molti si gittaron poscia per la medesima via, e corruppero interamente il buon gusto. Abbiamo innoltre del Grotto la correzione del Decamerone da lui poco felicemente eseguita, e la traduzione in ottava rima del primo libro dell' Iliade, stampata in Venezia nell’anno iS'to. Avea ancora tradotta laGeorgica di Virgilio (Lettere, p. 106), ma questa non uscì mai alla luce. Alcune altre opere inedite, o perdute, se ne annoverano al fin della Vita che ne ha scritta il sig. Giuseppe Grotto, che di esse assai distintamente ragiona. LIX. Il Tancredi di Federigo Asinari nobile astigiano, e conte di Camerano, stampato la prima volta a Parigi nel 1587 sotto il titolo di Gismonda, e attribuito a Torquato Tasso, come si è già avvertito, quindi da Gherardo Borgogni pubblicato di nuovo in Bergamo nel i588