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1748 LIBRO e che parve favorevole alle opinioni de’ novatori, fosse la cagione per cui egli venisse costretto a partire. Gli scrive in essa il Calcagnini (ib. 195) di aver letto quel libro, contro cui erasi menato sì gran rumore, che nulla vi avea trovato che non si potesse difendere ma che in certe materie conveniva seri vere con prudenza, e che anzi era meglio tacere; ed entra ivi a parlare delle quistioni che allora agitavansi intorno al libero arbitrio. Egli non dice espressamente che quella fosse opera del Morato, ma me ne fa sospettare il fin della lettera, in cui così egli scrive: Haec vero quu ni ad te scriberem, noli exi stima re, me ignorasse, quam plenum sit terne ri Li tis se prudenti orem adrnonere. Sed expressit hoc a me officium mutuus amor et ingenua charitas, ec. 5 parole che parrebbono inutili, se il Morato non fosse stato fautor del libro. Io credo dunque che qualche opera da lui pubblicata, della quale però non abbiamo più distinta notizia, facesse credere il Morato reo de’ nuovi errori, e che perciò fosse costretto a partir da Ferrara. E veramente ch ei si lasciasse da essi sedurre, cel mostrano ancora alcune lettere da esso scritte, e una ancora di Olimpia, che, dopo il Noltenio, si citano dal Gerdesio (Specimen ital. reform. p. 395). Convien dire però, che o non ne fosser troppo chiare le pruove, o ch’egli si purgasse felicemente di tal sospetto, poichè veggiamo ch’ei non uscì dall'Italia,' come tanti altri, e visse sempre sicuro in paesi cattolici. In qual anno partisse da Ferrara il Morato, non è ben certo. Egli ivi era nell* anno ìòab,