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TERZO I 315 in greppo, la Corografia, nella quale tanto ho stentato, et per uscire in Filosofia di politica e canonica et medicinale et celestiale; et mai non trovai palo d appoggiare la vite mia; perchè sapete bene, ch io non voglio studiare se non in pelle di martire o di lupo cervero, perchè le volpe et castroni danno troppo gran tanfo; et che io non cavalco mule strette in torculi da berrette, et pasciute a segature di tavola, et ch io non voglio servitori con calcagni di calze rotte senza scarpini; et ch io voglio mangiare due volte il dì et con minestra. et ch io voglio foco da S. Francesco a S Giorgio, et ch io non voglio debito per essere inzaffranato in Cancelleria. A fare questo non si può l uomo alambiccare il cervello impensis propriis (ivi, p. 100, ec.). Narrano molti ch ei fosse solito a dire che avea due penne, l una d’oro e l’altra di ferro, celie valeasi or dell una, or dell’ altra secondo il bisogno. Certo di quella d’ oro ei fa menzione nelle sue lettere, come scrivendo al re di Francia Arrigo: Io ho già temperata la penna d oro col finissimo inchiostro per scrivere in carte di lunga vita, ec. (ivi, p. i\\) *, e al sig. Giambatista Guastaldo: Già ho temperata la penna, d oro per celebrare il valor vostro (ivi, p. 55). All rove però ei si protesta di scrivere per puro amore del vero; anzi dà ad altri la faccia di storici mercenarj: Nè pensi V. S., scrive a Lelio Torelli (ivi, p. i\ i), che in questo caso io vada uccellando in forma di Marco Guazzo, o d altri simili imbrattatori di carte, premio alcuno per far miglior vita di quel ch'io