Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/578

1220 LIBRO Glorio XXIII. Come in tutti gli altri generi di letAa leratura , così in questo ancora ebbe l’Italia l’onore d’istruir gli stranieri, mandando tra loro uno de’ suoi celebri professori di questa lingua. Parlo di Gregorio da Tiferno, ossia da Città di Castello. Poco di lui ci han detto comunemente i moderni, e P elogio che ne è stato pubblicato pochi anni sono nella Raccolta Calogeriana (Nuova Racc. t. 11 , p. 327), non è altro che P unione di alcuni passi di diversi scrittori in lode di esso. Il solo che ne abbia parlato più estesamente, è M: Joly canonico di Dijon (Remarq. sur. Bayle, t. 2 , p. 762), il quale confessa di esser debitore di tali notizie all1 abate Goujet, che dall’opere dello stesso Gregorio le avea tratte. Appena merita d’essere confutato F error di coloro che han fatto Gregorio di patria greco, mentre il cognome, che dalla sua patria egli prese, cel prova ad evidenza italiano. Istruito nelle lingue latina e greca , apprese ancora la medicina, e l’esercitava talvolta secondo il bisogno. Ma Joly afferma eh’ ci viaggiò in Grecia; ma io credo ch’egli abbia confuso Gregorio con Giglio parimenti da Tiferno, e che abbia attribuito al primo ciò che narrasi del secondo. Sembra in fatti che di questi due personaggi ei faccia un solo, mentre Rafaello Volterrano espressamente li distingue: Gregorius Tifernas Grecis valde laboravit, utilisque juit, discipulumque in ca Laurenziana una traduzione dal greco in latino della orazione d’(scorate intitolata Nicocles (Cat. Codd. hit. Bibl. Laur. t. 1, p.