Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/320

9^3 LIBRO Civem Florcntinwn, cujus Historias si legisses, dixisses alterum Sallustium aut Sallustii temporibus scriptas; numquam tamen ab homine impetrare licuit, ut mecum latine loqueretur. Subinde interpellabam; surdo loqueris, vir prae» clare; vulgaris linguae vestratis tam sum ignarus, quam Indicae; verbum latinum numquam quivi ab eo extundere.

IX. Nel parlar di coloro che in questo secolo si adoperarono a raccogliere le antichità, abbiam fatta onorevol menzione di Giulio Pomponio Leto. Ma ei dee ancora aver luogo distinto fra quelli che presero ad illustrarle scrivendo, e qui perciò più attentamente dobbiam. di lui ricercare. Il Zeno ne ha parlato colla sua consueta esattezza (Diss. voss. t. 2, p. 292, ec.), valendosi delle opere dello stesso Pomponio, e di altri scrittori di quei tempi, e della breve Vita che Marcantonio Sabellico ce ne ha lasciata. Qualche altra notizia potrem noi aggiungerne tratta dalf elogio che, appena fu egli morto, ne scrisse Michel Ferno milanese, il quale è stato dato alla luce da monsig. Mansi (Append. ad vol. 6 Bibl. med. et inf. Latin. Fabr. p. 6, ec.). Ch’ei fosse bastardo della nobilissima casa di Sanseverino nel regno di Napoli , è certissimo per testimonianza di Giovanni Pontano (de Sermone, l. 6, p. 105, ed. flor. 1520), il quale aggiugne che Pomponio solea studiosamente dissimulare la sua nascita (i). Anzi il Ferno racconta che alcuni, i (a) Agli elogi di Pomponio Leto decsi aggiugnere T Orawon funebre che ne recitò Pietro Marso, che