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TERZO G8(J (l 22 c. i3) rilevando alcuni errori commessi nel favellarne da monsig. Domenico Giorgi, e da lui stesso poi modestamente ritrattati. VIL La perdita di Barlaamo non iscemò nel Petrarca l’ardore, ond’era compreso, di sapere la lingua greca. E quanto ei ne fosse avido ben il dimostra la lettera poc’anzi accennata a Niccolò Sigeros, in cui nel tempo medesimo che si duole di non poter gustare, come vorrebbe, le bellezze di Omero, sfoga il vivo suo giubilo d’averlo pur ricevuto, e lo prega insieme a mandargli ancora Esiodo ed Euripide. Questo suo trasporto medesimo per la lingua greca si dà a vedere in una lettera ch’egli scrisse, secondo il suo costume di scrivere a’ morti, l’anno 1360, a Omero, in risposta a una che o egli finge essergli da lui stata scritta, o gli fu veramente scritta a nome di Omero dal Boccaccio, o da qualche altro. Questa lettera del Petrarca è inedita, ma è stata in gran parte inserita dall’ab. de Sade nelle sue Memorie (t 3 , p. 627). Io ne sceglierò solo un tratto, in cui il Petrarca ragiona di quelli che allora in Italia sapean il greco: Non e’ strano, scrive egli ad Omero, che tu non abbi trovati che tre amici in una città (Firenze) che non si occupa che nel commercio. Se cercherai meglio, ne troverai un quarto; converrebbe aggiugnerne un quinto ancora onorato della corona; ma la Babilonia ce lo ha tolto. Cinque in una sola città sono eglino una cosa da nulla? Cercane nelle altre città: uno ne troverai in Bologna madre degli studj, due in Verona, uno in Mantova , se il cielo non Vavesse tolto alla terra, %