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XII. Si prtiova <-h’ l i non •* l’anlore del poema sugli Ufficiali della Corte romana. (55 4 LIBRO sopra, anche l’Oudin (De script, eccl. t. 2 p. 247). XII. In una cosa però io non penso di dover seguire il parere de’ sopraccitati scrittori. Essi attribuiscono comunemente a Gaufrido un altro poema elegiaco che per due diversi fini da due diversi scrittori è stato dato alla luce. Mattia Flaccio , uno de’ più fervidi Protestanti del secolo xvi, volendo mostrare che anche ne’ tempi addietro la corte di Roma era stata oggetto di scandalo a tulle genti, pubblicò una Raccolta di Poemi di diversi autori de’ bassi secoli in biasimo di essa; e fra gli altri quello di cui ora parliamo (De corrupto Eccl. statu. Basil. 1557). In esso introduconsi a favellare tra loro Gaufrido o, come altri leggono, Gaufredo, e Aprile. Il primo interroga Gaufrido sullo stato di Roma, sulla corte del papa, su’ costumi dei cardinali, ed altre particolarità di quella corte. Gaufrido gli risponde, e del papa e della corte romana gli dice le giù gran lodi del mondo. Ma esse al Flaccio sembrarono una continua ironia, e molto più che nel codice usato dal Flaccio terminavasi il poema con questo verso in bocca di Gaufrido: O miser Aprilis, hic fuit Antifrasis. Al contrario il P. Mabillon, avendone trovato un codice nel monastero di Einsidlen, e non sapendo eli’ esso fosse già stato pubblicato dal Flaccio, lo diè alla luce ei pure (Vet Analecta p. 396, ed. 11011 però come una satira, ma come un elogio della corte di Roma, e intitolato perciò. Adversus obtrectatores Curiae