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buon angelo, tu non sai quanto ciò sia terribile per una donna, per me, per un essere sensibile e sventurato come son io!

S’interruppe singhiozzando.

— Calmati, non piangere, te ne scongiuro, ciò ti farà male.

— Quel giorno pensava a queste cose, e perciò fui cattiva; lo sembrai ancora di più, perché non lo sono, e mi sforzava di apparirlo. Ma tu mi hai perdonato!

— Oh, tu sei sì buona! Nulla io ho a perdonarti, nulla!

Suonarono le due ore all’orologio.

— Come passa presto la notte; il tempo vola quando si è felici — diss’ella. — Fino a quando resterai qui?

— Fino a quando vorrai.

— Fino a domattina?

— Sì.

— Cosa faremo?

— Parleremo, ma forse ciò ti affatica.

— Un poco.

— Penseremo.

— Metti la tua testa qui, così, vicino alla mia, dammi la tua mano. Dormiamo?

— Come vuoi.

— Sogniamo?

— Sì.

Tacemmo tutti e due. Ella chiuse gli occhi, e parve raccogliersi e dormire. Passammo così un’ora che mi parve un’eternità. Ogni qual volta io faceva atto di muovermi, ella trasaliva e stringeva più forte le mie mani. Pareva leggesse nel mio pensiero, tremava ad ogni idea spiacevole che mi passava nella mente, e mormorava il mio nome.

Si riscosse al rumore di certi carri che passavano sulla via.