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anche stato un povero uccello, un povero cane, una povera bestia qualunque; ma più tardi ho imparato come gli uomini siano avari anche di compassione, perché la compassione è il riflesso di un dolore altrui, e diventa un dolore proprio. Io so apprezzare la tua pietà, io te ne sono grata perché sento che in te è ancora più meritoria dell’amore.

Volli risponderle; ella mi posò un dito sulle labbra, e riprese sorridendo:

— Taci, taci, mi dirai più tardi delle bugie, ti costringerò a dirmene tante! Prendi la lampada, mettila qui, voglio vederti bene.

Posai la lampada sul tavolino. Ella mi fissò in volto con aria rapita, e mi disse:

— Come sei bello, Dio! come sei bello!

Ella stessa non mi parve in quel momento sì brutta, come mi era sembrata nei primi giorni della nostra conoscenza. La sua testa era affondata nel guanciale per modo che non si poteva indovinarne le sproporzioni, i suoi capelli neri, folti, lucentissimi, le scendevano scomposti per le spalle e ne incorniciavano il viso, la cui pallidezza e la cui magrezza erano estreme; i suoi grandi occhi neri erano inumiditi dalle lacrime, e brillavano stranamente al riflesso della luce della lampada; soltanto la fronte smisuratamente grande e sporgente rompeva l’armonia fantastica delle linee scorrette di quel volto.

Mi ricorse al pensiero una Madonna che ho pregato molto da fanciullo, il cui volto di cera bianca, i cui capelli di crine nero, i cui occhi di vetro smerigliato, soliti a mandare strani riverberi alla luce dei ceri della chiesa, la rendevano assomigliante a Fosca, benché d’una rassomiglianza senza vita e senza espressione.

Forse ella si avvide dell’effetto che produceva in me quell’esame del suo volto. Si affrettò ad abbassare il paralume della lampada, e a soggiungere: