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322 amore nell'arte

visa e crudele, in tutta la pienezza de’ suoi inganni e della sua fede, in tutto il vigore della sua gioventù e della sua bellezza.

Allora da una piccola finestra di una soffitta in una casa di fronte, si affacciò una figura d’uomo, i cui lineamenti alterati dal dolore si contrassero in un sorriso amaro e terribile. — Quell’uomo era Bouvard. Il pallore sepolcrale del suo volto , l’incolta abbondanza dei capelli e della barba, lo sguardo immobile e lucido, quell’espressione tetra e indefinibile di cui la sventura aveva velate le sue fattezze come d’un velo funerario, rivelavano il segreto di quei patimenti intimi e soprannaturali che intessono quaggiù molte vite, e che rifuggono sempre dalla confidenza e dalla pubblicità, fieri e sdegnosi d’ogni umiliante compassione e d’ogni conforto impossibile. E infatti, checché egli avesse sofferto, rimase pur sempre un mistero. Amava egli ancora Giulia? Non aveala obliata in quei quattro anni di separazione? Era egli sempre vissuto presso di lei? Certo è ch’egli non abitava quella soffitta che da due mesi, e che la povertà più desolante era venuta spesso in quei giorni a visitare la sua modesta dimora d’artista.

Bouvard guardò, vide, lesse la funebre iscrizione, osservò il drappo nero che ornava le porte della fanciulla defunta, lo osservò con una muta indifferenza, senza affliggersi, senza stupirsi: — si sarebbe detto che quella sciagura non gli si palesava inattesa, che egli l’aveva preveduta, invocata, affrettata forse col desiderio. Certo il cattivo genio di cui favoleggiano gli uomini non avrebbe sorriso più tristamente, non avrebbe dimostrala una compiacenza più malvagia e crudele. Il giovine rinchiuse la finestra preoccupato da un pensiero insistente, da un’idea fissa, confortevole, lungamente blandita. « Affrettiamo, egli disse, affrettiamo il momento anelato... apparecchiamo