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successo fra poco, che la casa ove mi trovava sarebbe rovinata, che la terra si sarebbe aperta per inghiottirmi. Non era possibile che ogni cosa in natura continuasse a procedere collo stesso ordine di prima. Sentiva passare le carrozze sulla via, sentiva il cicaleccio dei passeggieri, ma tutto ciò non avrebbe durato più che un istante. La mia felicità era finita, tutto doveva essere finito. In quel momento scoccarono le sette al pendolo della camera; ogni vibrazione mi parve un colpo di coltello che mi trapassasse il cuore, e mi contorsi e mi raggomitolai gemendo come per difendermi da quei colpi.

In quell’orribile confusione di idee che s’era formata dentro di me, una ve n’era ben certa, ben chiara, ben definita: io aveva amato un mostro. Egli era possibile abbandonarmi così? Potevano esservi in natura ragioni sufficienti a dividere due cuori che si erano amati come i nostri? Potevano due creature che erano state sì care l’una all’altra separarsi e sperare di sopravvivere a questo abbandono? Avrei io mai creduto che il nostro amore avrebbe potuto finire? Avrei io avuto il coraggio pur di pensare a ciò che ella aveva predeciso e compiuto con sì facile risolutezza? No, né io, né nessuno. Tal cosa non poteva essere immaginata che da un essere mostruosamente ingrato, mostruosamente crudele. Io aveva amato questo essere. Tutto l'edificio della mia fede era rovinato, tutto era caduto nel fango.

Mi immersi e mi smarrii in questi pensieri, di cui non comprendeva allora tutta l'ingiustizia. Mi riscossi sentendomi toccare alla spalla; guardai: era il dottore.

Egli si scostò un poco da me, perché la sua ombra non m'impedisse di vedere il colonnello che era entrato con lui, e s'era arrestato in piedi nel mezzo della camera. Si appoggiò colle mani allo schienale d'una sedia e mi disse: