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incredulità, la quale ci trae a dubitare delle cose più palesi e reali. Se così non fosse, quell’impressione avrebbe spesso il potere di uccidere.

Mi provai a fare colle mani alcune pieghe nel mio abito, a pronunciare forte il mio nome, perché mi pareva di non essere più io, o di essere in preda ad una tremenda allucinazione.

Mi alzai, e sorrisi non so di che cosa. Incominciai a camminare per la camera a passi accelerati. Senza accorgermene aveva preso in mano la candela; la mia ombra che si allungava sul pavimento e si piegava alla base della parete risalendola come vi aderisse, mi seguiva su e giù per la stanza. Mi arrestai a contemplarla, l’accorciai e la riallungai appressando e allontanando il lume: mi fermai ad un angolo, e guardai attorno alla camera quasi spaventato, vidi vicino a me un ragno nero che si arrampicava su pel muro, lo abbruciai colla fiamma della candela, e lo sentii friggere e scoppiettare con una specie di voluttà quasi crudele. Passando vicino ad uno specchio, vi scorsi riflessa la mia persona, e mi arrestai a contemplarmi. Aveva quasi paura di me, mi pareva che il mio volto non fosse quello, che avrei dovuto averne uno diverso.

Mi provai a sorridere, e a contrarre in mille modi le mie fattezze. Vi fu un istante in cui mi parve che lo specchio riflettesse il viso di un’altra persona che era dietro di me e vi si affacciava curvandosi dietro la mia spalla. Trasalii, e feci atto di rivolgermi; il lume mi scivolò di mano, cadde e si spense. Quel rumore, quell’oscurità improvvisa mi fecero tornare in me. Lo riaccesi, mi sedetti, tornai a rileggere la lettera di Clara.

Ora aveva ben compreso; mi premetti le mani sul cuore, e mi abbandonai sulla mia sedia cogli occhi chiusi, quasi sperando che qualche cosa di terribile, di fatale sarebbe