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Un giorno — mi s’era mostrato già da tempo agitatissimo — entrò improvvisamente nella mia camera col volto estremamente turbato; mi disse di non aver mai avuto il coraggio di confidarmelo, ora essere necessario, benché troppo tardi; aver egli contratto da celibe alcuni debiti ascendenti a somme enormi, più di metà la fortuna della mia casa, aver sperato poterli pagare coi capitali che il sequestro impreveduto rendeva ora inalienabili, e aver perciò firmato cambiali la cui scadenza imminente gli apriva le porte del carcere: preferire uccidersi. E levata una pistola, fece atto di esplodersela al viso.

«Tu avrai già indovinato ciò che io ho fatto. Mio padre e mia madre vennero essi a trovarmi piangendo. Mi chiesero se egli mi amava, io dissi di sì; se ero felice, io dissi ancora di sì: essi acconsentirono a spogliarsi quasi interamente della loro fortuna, perché io fossi felice e tranquilla con lui. Felice!

«Quel sacrificio che doveva legarlo maggiormente a me, sembrò invece allontanarmelo; e ciò era naturale, giacché non v’era più possibilità di altre speculazioni a mio riguardo, né occorreva fingere più oltre. Incominciai allora a comprendere qualche cosa del suo carattere e a tentare di resistere a quel bisogno di affetto ineluttabile che mi trascinava verso di lui; ma era indarno: io non poteva conciliarmi a quella fede, crederlo sì cattivo e sì infinto, non poteva cessare di amarlo. M’era fatta quasi una religione del mio amore, e mi ostinava ad abbassarmivi benché lo sapessi incorrisposto. Ogni cosa che ci costa molto la si ama, benché riluttanti; e nell’ostinazione di un dolore o di un sacrificio, vi è un’acre voluttà che è spesso altrettanto soave quanto la gioia.

«Poche settimane dopo questo ultimo avvenimento