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126 DEGLI ANNALI

male; e a Silano, per niuno altro peccato, che per esser giovane troppo onesto e nobile. Mandò adunque una scrittura al senato, che questi due si levassero dalla repubblica; perchè Cassio teneva tra le immagini de’ suoi maggiori quella di G. Cassio, intitolata Capo di Parte, e cercava i semi di guerra civile e ribellione dalla Casa de’ Cesari; e, oltre alla memoria di quel suo nome fazioso, metteva per capo alle novità L. Silano, giovane nobile e risoluto.

VIII. E lui trafisse, che si dava già, come Torquato suo zio, pensieri da imperio; tenendo libèrti per segretari, cancellieri, computisti: cose vane e false, perchè la rovina del zio insegnò a Silano guardarsene. Fece poi da falsi rapportatori accusar Lepida moglie di Cassio, zia di Silano, d’aver usato con esso nipote suo, e fatto incantesimi; aggiugnevansi, come consapevoli, Volcazio Tullino e Marcello Cornelio senatori, e Calpurnio Fabato cavaliere; i quali in su lo scocco della sentenza contro s’appellaroro al principe; che, in più orrende sceleratezze invasato, non li attese: e scamparono.

IX. Il senato rimise Lepida a Cesare: confinò Cassio in Sardigna; ove andò, e s’aspettava il suo fine. Silano, come per condurlo in Nasso, fu posato a Ostia: poi chiuso in Bari, terra di Puglia; e sopportava il caso indegno con prudenza. Venne il Centurione ad ammazzarlo, e voleva che ci si segasse le vene: disse, voler morire, ma non già che egli se ne potesse vantare. Il Centurione vedendolo, se ben senz’arme, poderoso, invelenito e senza paura, disse a’ soldati che gli s’avventassero addosso. Silano si difese, e con le pugna, quanto poteò s’aiutò; sino a