Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/525

522

padre i due fratellini di Teresina di un’età che io non avrei saputo precisare, fra’ dieci e i quattordici anni. Nella fatica i vecchi si sentono magari esausti, ma per l’eccitazione che l’accompagna, sempre più giovini che nell’inerzia. Ridendo m’accostai a Teresina:

— Sei ancora in tempo, Teresina. Non tardare.

Essa non m’intese ed io non le spiegai nulla. Non occorreva. Giacchè essa non ricordava, si poteva ritornare con lei ai nostri antichi rapporti. Avevo già ripetuto l’esperimento ed aveva avuto anche questa volta un risultato favorevole. Indirizzandole quelle poche parole l’avevo accarezzata altrimenti che col solo occhio.

Col padre di Teresina m’accordai facilmente per le rose. Mi permetteva di tagliarne quante volevo eppoi non si avrebbe litigato per il prezzo. Egli voleva subito ritornare al lavoro mentre io m’accingevo di mettermi sulla via del ritorno, ma poi si pentì e mi corse dietro. Raggiuntomi, a voce molto bassa, mi domandò:

— Lei non ha sentito niente? Dicono sia scoppiata la guerra.

— Già! Lo sappiamo tutti! Da un anno circa, — risposi io.

— Non parlo di quella, — disse lui spazientito. — Parlo di quella con... — e fece un segno dalla parte della vicina frontiera italiana. — Lei non ne sa nulla?

— Mi guardò ansioso della risposta.

— Capirai, — gli dissi io con piena sicurezza, — che se io non so nulla vuol proprio dire che nulla c’è. Vengo da Trieste e le ultime parole che sentii colà significavano che la guerra è proprio definitivamente scongiurata. A Roma hanno ribaltato il Ministero che voleva la guerra e ci hanno ora il Giolitti.