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Fu allora che io poggiai la mia testa sul braccio e nascosi la mia faccia. Le accuse ch’essa mi rivolgeva erano tanto ingiuste che non si potevano discutere ed anche la loro irragionevolezza era tanto mitigata dal suo tono affettuoso che la mia reazione non poteva essere aspra come avrebbe dovuto per riuscire vittoriosa. D’altronde già Augusta m’aveva dato l’esempio di un silenzio riguardoso per non oltraggiare ed esasperare tanto dolore. Quando però i miei occhi si chiusero, nell’oscurità vidi che le sue parole avevano creato un mondo nuovo come tutte le parole non vere. Mi parve d’intendere anch’io di aver sempre odiato Guido e di essergli stato accanto, assiduo, in attesa di poter colpirlo. Essa poi aveva messo Guido insieme al suo violino. Se non avessi saputo ch’essa brancolava nel suo dolore e nel suo rimorso, avrei potuto credere che quel violino fosse stato sfoderato come parte di Guido per convincere dell’accusa di odio l’animo mio.

Poi nell’oscurità rividi il cadavere di Guido e nella sua faccia sempre stampato lo stupore di essere là, privato dalla vita. Spaventato rizzai la testa. Era preferibile affrontare l’accusa di Ada che io sapevo ingiusta che guardare nell’oscurità.

Ma essa parlava sempre di me e di Guido:

— E tu, povero Zeno, senza saperlo, continuavi a vivergli accanto odiandolo. Gli facevi del bene per mio amore. Non si poteva! Doveva finire così! Anch’io credetti una volta di poter approfittare dell’amore ch’io sapevo tu mi serbavi per aumentare d’intorno a lui la protezione che poteva essergli utile. Non poteva essere protetto che da chi lo amava e, fra noi, nessuno l’amò.

— Che cosa avrei potuto fare di più per lui? —