Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/443

440

riguardo a Guido, che da lui aspettava i buoni consigli, sapessi celare tanto bene i miei sentimenti ch’egli finì col credere di avere in me un amico devoto. Non nego che forse la mia gentilezza con lui fosse anche dovuta al desiderio di evitare quel malessere che m’aveva data la sua inimicizia, tanto forte causa quell’ironia che rideva sulla sua brutta faccia. Ma non gli usai mai altre gentilezze fuori di quella di porgergli la mano e il saluto quando veniva e se ne andava. Egli invece fu gentilissimo ed io non seppi non accettare le sue cortesie con gratitudine, ciò ch’è veramente la massima gentilezza che si possa usare a questo mondo. Mi procurava delle sigarette di contrabbando e me le faceva pagare quello che gli costavano, cioè molto poco. Se mi fosse stato più simpatico avrebbe potuto indurmi a giocare col suo mezzo; non lo feci mai, solo per non vederlo più di spesso.

Lo vedevo anzi troppo! Passava delle ore nel nostro ufficio ad onta che — com’era facile di accorgersene — non fosse innamorato di Carmen. Veniva a tener compagnia proprio a me. Pare si fosse prefisso d’istruirmi nella politica in cui egli era profondo causa la Borsa. Mi presentava le grandi potenze come un giorno si stringevano la mano e si pigliavano a schiaffi il giorno seguente. Non so se abbia indovinato il futuro perchè io per antipatia non lo stetti mai a sentire. Conservavo un sorriso ebete, stereotipato. Il nostro malinteso sarà certo dipeso da un’interpretazione errata del mio sorriso che gli sarà parso d’ammirazione. Io non ne ho colpa.

So solo le cose che ripeteva ogni giorno. Potei accorgermi ch’egli era un italiano di color dubbio perchè gli pareva che per Trieste fosse meglio di restare