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altro che ad ungere il piano inclinato sul quale scivolava sempre più in giù.

Assieme al solfato di rame gli capitarono fra capo e collo i due gemelli. La sua prima impressione fu di sorpresa tutt’altro che piacevole, ma subito dopo di avermi annunziato l’avvenimento, gli riuscì di dire una facezia che mi fece ridere molto, per cui, compiacendosi del successo, non seppe conservare il cipiglio. Associando i due bambini alle sessanta tonnellate di solfato, disse:

Sono condannato a lavorare all’ingrosso, io!

Per confortarlo gli ricordai che Augusta era di nuovo nel settimo mese e che ben presto in fatto di bambini avrei raggiunto il suo tonnellaggio. Rispose sempre argutamente:

— A me, da buon contabile, non sembra la stessa cosa.

Dopo qualche giorno, per qualche tempo, fu preso da un grande affetto per i due marmocchi. Augusta che passava una parte della sua giornata dalla sorella, mi raccontò ch’egli dedicava loro ogni giorno qualche ora. Li accarezzava, e ninnava e Ada gliene era tanto riconoscente che fra i due coniugi sembrava rifiorire un nuovo affetto. In quei giorni egli versò un importo abbastanza vistoso ad una società d’Assicurazioni per far trovare ai figli a vent’anni una piccola sostanza. Lo ricordo per aver io registrato quell’importo a suo debito.

Fui invitato anch’io a vedere i due gemelli; anzi da Augusta m’era stato detto che avrei potuto salutare anche Ada, che invece non potè ricevermi dovendo stare a letto ad onta che fossero passati già dieci giorni dal parto.