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cellenza dei suoi prodotti. Si presentava per avere un impiego, ma io avrei avuto voglia d’intervenire nelle trattative per domandarle: — Quale impiego? Per un’alcova?

Io vidi che la sua faccia non era tinta, ma i colori ne erano tanto precisi, tanto azzurro il candore e tanto simile a quello delle frutta mature il rossore, che l’artificio vi era simulato alla perfezione. I suoi grandi occhi bruni rifrangevano una tale quantità di luce che ogni loro movimento aveva una grande importanza.

Guido l’aveva fatta sedere ed essa modestamente guardava la punta del proprio ombrellino o più probabilmente il proprio stivaletto verniciato. Quand’egli le parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia così luminosi, che il mio povero principale fu proprio abbattuto. Era vestita modestamente, ma ciò non le giovava perchè ogni modestia sul suo corpo s'annullava. Solo gli stivaletti erano di lusso e ricordammo un po’ la carta bianchissima che Velasquez metteva sotto ai piedi dei suoi modelli. Anche Velasquez, per staccare Carmen dall’ambiente, l’avrebbe poggiata sul nero di lacca.

Nella mia serenità io stetti a sentire curiosamente. Guido le domandò se conoscesse la stenografia. Essa confessò di non conoscerla affatto, ma aggiunse che aveva una grande pratica di scrivere sotto dettatura. Curioso! Quella figura alta, slanciata e tanto armonica, produceva una voce roca. Non seppi celare la mia sorpresa:

— E’ raffreddata? — le domandai.

— No! — mi rispose — Perchè me lo domanda? — e fu tanto sorpresa che l’occhiata in cui m’avvolse fu anche più intensa. Non sapeva di avere una voce tanto