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comperare nè vendere, ma anche questa mi parve una risoluzione di persona che crede di saper molto. Io sarei stato più dubbioso anche nell’inerzia.

In quegli acquisti fui molto prudente. Corsi dall’Olivi a prendere le misure per i copialettere e per i libri di contabilità. Poi il giovane Olivi m’aiutò ad aprire i libri e mi spiegò anche una volta la contabilità a partita doppia, tutta roba non difficile, ma che si dimentica tanto facilmente. Quando si sarebbe arrivati al bilancio, egli m’avrebbe spiegato anche quello.

Non sapevamo ancora quello che avremmo fatto in quell’ufficio (adesso so che neppure Guido allora lo sapeva) e si discuteva di tutta la nostra organizzazione. Ricordo che per giorni si parlò dove avremmo messi gli altri impiegati se di essi avessimo avuto bisogno. Guido suggeriva di metterne quanti potessero capirvi nella Cassa. Ma il piccolo Luciano, l’unico nostro impiegato per il momento, dichiarava che là dove c’era la cassa, non potessero esserci altre persone fuori di quelle addette alla cassa stessa. Era ben dura di dover accettare delle lezioni dal nostro galoppino! Io ebbi un’ispirazione:

— A me sembra di ricordare che in Inghilterra si paghi tutto con assegni.

Era una cosa che m’era stata detta a Trieste.

— Bravo! — disse Guido. — Anch’io lo ricordo ora. Curioso che l’avevo dimenticato!

Si mise a spiegare a Luciano in lungo e in largo come non si usasse più di maneggiare tanto denaro. Gli assegni giravano dall’uno all’altro in tutti gl’importi che si voleva. Fu una bella vittoria la nostra, e Luciano tacque.