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me altra via d’uscita che l’ubriachezza. Ecco dove m’aveva condotto la fiducia in mia moglie!

In quel momento a me pareva che il vizio del fumo non valesse lo sforzo cui m’ero lasciato indurre. Ora non fumavo già da mezz’ora e non ci pensavo affatto, occupato com’ero dal pensiero di mia moglie e del dottor Muli. Ero dunque guarito del tutto, ma irrimediabilmente ridicolo!

Stappai la bottiglia e mi versai un bicchierino del liquido giallo. Giovanna stava a guardarmi a bocca aperta, ma io esitai di offrirgliene.

— Potrò averne dell’altro quando avrò vuotata questa bottiglia?

Giovanna sempre nel più gradevole tono di conversazione mi rassicurò: — Tanto quanto ne vorrà! Per soddisfare un suo desiderio la signora che dirige la dispensa dovrebbe levarsi magari a mezzanotte!

Io non soffersi mai d’avarizia e Giovanna ebbe subito il suo bicchierino colmo all’orlo. Non aveva finito di dire un grazie che già l’aveva vuotato e subito diresse gli occhi vivaci alla bottiglia. Fu perciò lei stessa che mi diede l’idea di ubriacarla. Ma non fu mica facile!

Non saprei ripetere esattamente quello ch’essa mi disse, dopo aver ingoiati varii bicchierini, nel suo puro dialetto triestino, ma ebbi tutta l’impressione di trovarmi da canto una persona che, se non fossi stato stornato dalle mie preoccupazioni, avrei potuto stare a sentire con diletto.

Prima di tutto mi confidò ch’era proprio così che a lei piaceva di lavorare. A tutti a questo mondo sarebbe spettato il diritto di passare ogni giorno un paio d’ore su