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minuiva, ed io, malevolo per invidia, volendo indebolire il suo proposito gli dicevo:

— Ma, a cura finita, che cosa ne farà Lei di tutta questa pelle?

Con grande calma, che rendeva comico il suo viso emaciato egli rispose:

— Di qui a due giorni comincerò la cura del massaggio.

La sua cura era stata predisposta in tutti i particolari ed era certo ch’egli sarebbe stato puntuale ad ogni data.

Me ne risultò una grande fiducia per lui e gli descrissi la mia malattia. Anche questa descrizione ricordo. Gli spiegai che a me pareva più facile di non mangiare per tre volte al giorno che di non fumare le innumerevoli sigarette per cui sarebbe stato necessario di prendere la stessa affaticante risoluzione ad ogni istante. Avendo una simile risoluzione nella mente non c’è tempo per fare altro perchè il solo Giulio Cesare sapeva fare più cose nel medesimo istante. Sta bene che nessuno domanda ch’io lavori finchè è vivo il mio amministratore Olivi, ma come va che una persona come me non sappia far altro a questo mondo che sognare o strimpellare il violino per cui non ho alcuna attitudine?

Il grosso uomo dimagrato non diede subito la sua risposta. Era un uomo di metodo e prima ci pensò lungamente. Poi con aria dottorale che gli competeva data la sua grande superiorità in argomento, mi spiegò che la mia vera malattia era il proposito e non la sigaretta. Dovevo tentar di lasciare quel vizio senza farne il proposito. In me — secondo lui — nel corso degli anni erano andate a formarsi due persone di cui una coman-