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76 O s s e r v a z i o n i

stre di vetro; vedendosi a quelli edifizj un gran numero di finestre a due parti, poste le une accanto alle altre1. Questa pittura è incastrata in un muro del catino della villa Cesi; ma il principe Panfili attual padrone vi ha fatto dar di bianco sopra, di maniera che non è più possibile vederla. Bellori l’ha fatta ridurre in piccolo, e incidere in rame2.




§. 69. Ec-


  1. Questo non prova niente; perchè potevano essere anche di altra materia, come di pietra specolare, o altre, delle quali parlerò al luogo citato delle lettere.
  2. In fragm. vet. Roma, pag. 1. [Winkelmann ha poi dato nei Monum. ant. ined. n. 204., e illustrato il pezzo di questa pittura, fotto cui è scritto BAL. FAVSTINES; e può credersi bagno dell’imperatrice Faustina. Ivi Par. IV. cap. 14. pag. 266., nota, che le dette finestre erano tanto grandi, che arrivavano al pavimento, come si vedono nella pittura, e simili a quelle, delle quali ho parlato qui avanti. Nello stesso luogo il nostro Autore ripete una questione già fatta da lui nella lettera al sig. Fuessli sulle scoperte d’Ercolano, stampata in Dresda nel 1764. in lingua tedesca, pag. 30. 31., che sarà bene d’aggiugner qui per compimento della materia: ed è, se gli antichi usassero sportelli alle finestre, come si usano oggidì, per scurare volendo le camere. „ Nel raccoglier, dic’egli, di quante notizie ho potuto sopra le finestre degli antichi, mi son proposto il dubbio, se appo loro fussero state in uso le imposte delle finestre, o sportelli che vogliam dirli, co’ quali, ben si può, quando ne viene il bisogno, render le stanze tutte buje come, per esempio, quando si dorme; e ’l dubbio m’è venuto, sì perchè si trova in varj autori, che nel riposare durante il giorno, un si facesse scacciar le mosche d’addosso, Terent. Eunuch. act. 3. sc. 5. v. 47.53., le quali, se le stanze fussero state prive di luce, non sarebbon certamente zufolate loro d’intorno; sì perchè Suetonio riferisce in Aug. cap 78., che Augusto, nel mettersi a riposare il giorno, si teneva la mano d’avanti qli occhi 3 per non essere offeso dal lume; e finalmente sì perchè appo gli antichi, qualor si parla di pararsi il lume di giorno, non si fa menzione d’altro che di veli (vela) messi dianzi alle finestre, Juvenal. Sat. 9. v. 105: talchè ove Ovidio dice, che la metà della finestra era chiusa, Amor. lib. 1. eleg. 5. princ., convien credere ch’ella fosse parata da una sola cortina delle due, ch’erano a ciascheduna finestra. Ma v’è un passo d’Apollonio Rodio Argon, lib. 3. v. 821., che. sebbene è un pò oscuro, sembra additarne il contrario; imperciocché nel descrivere la smania amorosa di Medea verso Giasone, la quale piena d’impazienza aspettava la luce del giorno, egli narra, che cortei, alzandoli spesse volte dal letto, aprì le porte della camera per veder l’alba:

    Πυκνὰ δ᾽ ἀνὰ κληῖδας ἑῶν λύεσκε θυράων.
    Spesso apriva le serrature delle sue porte.

    Ben vedesi, è vero, che quel, che qui vien detto porta, non sembra poterne significare le imposte delle finestre; ma come risolvere la quistione? Imperciocchè, se un si figura una camera senza finestre, nella quale s’introducesse il lume per la porta, all’uso comune delle case degli antichi, vi nascerebbe un’altra difficoltà a cagione dell’anticamera, nella quale dormivano fino a dodici delle serve di Medea, e la quale, essendo di notte chiusa ed oscura, non potea chiarir questa donna della vicinanza dell’alba„. Per questa franca maniera di parlare, che usa Winkelmann, chi non crederebbe, ch’egli abbia tutto veduto a questo proposito; o che almeno gli scrittori da lui addotti vadano intesi com’egli li espone? Ma svaniscono a mio credere quei dubbj facilmente anche al solo considerare gli stessi scrittori allegati, che Winkelmann non ha ponderati molto. E cominciando da Ovidio, mi pare chiarissimo, che parli appunto di finestre chiuse cogli sportelli. Dice che stava a riposare in tempo di estate sul mezzo giorno, tenendo una parte della finestra chiusa affatto, e l’altra socchiusa in maniera, che per essa entrava nella camera una lune tenue, come è quella dell’alba, o dei crepuscoli della sera, o quella, che appena si vede in una folta selva:

    Æstus erat, mediamque dies exegerat horam:
    Apposui medio membra levanda toro.
    Pars adaperta fuit, pars altera clausa fenestra:
    Quale fere sylva lumen habere solent.
    Qualia sublucent fugiente crepuscula Phæbo;