Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/636

14

zioni, che avreste potuto riserbare a miglior ventura. Supponendo1, che Winkelmann dica generalmente, che gli stipiti delle porte, grandi, e piccole erano lavorati a modo di festoni di fiori, e di foglie, come si vede al tempio di Balbec, e in Roma in parecchi luoghi; avete radunati tanti esempj in contrario, cominciando dal Panteon fino alla Basilica Palatina scoperta l’anno 1724. nel palazzo de’ Cesari, per poter conchiudere autorevolmente: Ecco come dal particolare argomentando all’universale coll’autorità di un grand’uomo, che dice di avere osservato per cinque anni, potrebbero gli amatori delle Belle Arti, che non hanno avuto il comodo di veder tutto o sui libri, sui monumenti, farsi una falsa idea delle pratiche degli antichi. Convien sospettare di necessità, che voi leggiate le opere, che criticate, nella maniera stessa, colla quale date fuori le vostre osservazioni, a pezzi, e a bocconi. Io, che sono giureconsulto, vi suggerirò per un’altra volta la gran regola di critica legale, e generale ancora, se volete, proposta da Celso2: Incivile est nisi tota lege perspecta, una aliqua particula ejus propofita, judicare, vel respondere: la quale vuol dire, che se voi avesse letto quello, che dice Winkelmann prima, e dopo le da voi carpite parole, avreste veduto, che egli non fa una regola generalissima per tutti i tempi; ma generale, e particolare per li tempi del cattivo gusto, per li tempi all’incirca poco prima, e dopo le fabbriche di Balbec, che nomina; e sono i tempi intorno ad Aureliano, del quale ha parlato anche ad altro proposto poche righe avanti. E’ tanto chiaramente limitato il senso di Winkelmann alla decadenza delle arti dal lungo discorso, che fa avanti, in serie del quale fra questo degli ornati delle porte; che per farlo parlare generalmente di tutti i tempi, forza è di supporre, che voi crediate l’opera di lui un’insalata cappuccina, di cui un pezzo non abbia coll’altro la minima connessione; quando non vogliate confessare di averla letta per salto. Ed ecco la maniera, con cui un povero autore, un grand’uomo, che ha osservato per cinque anni, viene all’improviso strapazzato da chi non ha saputo o leggere, o badare che a tre righe, e mezza della di lui opera. Andiamo.

Stupenda è veramente, e da semplice architetto l’osservazione, che seguite a fare dopo la precedente, alla pag. XCV.: Tra alcuni abusi già noti, che giustamente riprende il Wink.3, dice ancora, che quando non si seppe inventare altro di nuovo si fecero le colonne di un sol pezzo col capitello. Non vorremmo, che il lettore credesse ancor questo un difetto . Ciò non pregiudica alla solidità, che anzi si aumenta col fare di un sol pezzo quello, che farebbe di due. Non pregiudica alla bellezza, quando sia fatto colle solite proporzioni. E chi mai recandosi avanti il Coloseo, il teatro di Marcello, avanti il tempio Vaticano, resterà disgustato dall’apparirgli tutte di un pezzo le colonne col capitello? Crederei peraltro bene, sig. Cavaliere eruditissimo, di prevenirvi di una lagnanza, che taluno potrebbe fare di voi dopo che avesse avuto la sofferenza di camminar tanto per veder quelle fabbriche grandiose, degne di essere vedute per cento altri riguardi. Potrebbe dire: se il sig. Cavaliere, che ci vuole ammaestrare, e far da pedante, aves-

  1. Pag. XCIV.
  2. L. 24. ff. De legib.
  3. Pag. 90.