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grificare alla disposizione delle figure, che tutte tre essi voleano far aggruppare, e vincolare dai serpi con qualche artifizio. Con tutto ciò, riflettendosi, che di serpi lunghi assai ve n’ha più d’una specie secondo i paesi, arrivando fino a 30. cubiti quei d’Epidauro, come narra Pausania1; e che quei, che assaltarono Laocoonte, secondo Virgilio, e Quinto Smirneo2, forse erano serpi acquatici, o anfibj, i quali d’ordinario sono più lunghi dei terrestri; potremo dire con probabilità, che gli scultori del gruppo li facessero tanto lunghi, perchè credeano, che tali dovessero farsi per qualche ragione naturale, senza il bisogno di allungarli per l’effetto predetto. Baccio Bandinelli fu il primo a restaurare in cera il braccio destro del figlio piccolo, e la mano sinistra del grande, quando volle farne la copia in marmo per il cardinale Giulio de’ Medici, che ora sta nella galleria Granducale maltrattata dal fuoco. In appresso non so da chi fosse restaurato in terra cotta il braccio del padre, variando dall’idea del Bandinelli col distenderlo più, e togliergli l’avvolgimento del serpe. Considerando l’originale, Baccio ideò bene il restauro; perciocchè il braccio dovea torcere più in dietro; e certi avanzi di attacchi mostrano di richiamare il giro del serpe nel principio del braccio; come lo avea fatto il medesimo, con generale applauso, al dire del Vasari. Il resto fu lasciato tal quale, finchè poi lo restaurò in marmo poco bene, e variando il Cornacchini, come si vede dalle stampe in rame, che ne furono fatte in seguito, al confronto della detta Statua di Firenze, e della stampa in legno, che ne fece Tiziano rappresentando le tre figure con tre scimie, per deridere la presunzione, che avea Baccio di volerne fare una copia migliore dell’originale, di cui alterò le forme, e l’espressione. L’altezza di tutto il gruppo è di palmi otto, e once nove; senza il plinto palmi otto, e once cinque.

V. Erme d’Alessandro il Grande maggiore del naturale, interessantissimo per essere finora l’unico scoperto colla iscrizione antica. Se ne è parlato molto nel Tom. iI. pag. 23. n. a. Abbiamo quindi ragione di credere, che sia l’immagine vera


di


  1. lib. 2. cap. 28. pag. 175.
  2. lib. 12. vers. 441. segg.