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Meccanismo della Scultura |
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gomento sono il nome d’un liberto pittore ai tempi de’ Cesari, serbatosi su un’iscrizione d’Anzio nel Campidoglio1, e ciò che leggiamo d’un portico pur d’Anzio, su cui Nerone da un liberto fece dipingere de’ gladiatori2. E poichè, eccetto alcune poche pitture tratte fuori da un tempio d’Ercolano, le altre tutte, che rimangonci, ornavano le case campestri o altre private abitazioni, è probabile che quelle pure siano lavori de’ liberti. Il mentovato pezzo, fu cui leggesi DIDV, è forse opera d’un liberto nato o educato in Roma. Aggiungansi a queste congetture le lagnanze di Plinio sul decadimento della pittura, ch’egli attribuisce in parte al non essere quell’arte esercitata da persone onorevoli: non est spectata honestis manibus3. E’ vero che non era questa abbandonata ai liberti a segno che si riputasse inonorato chiunque l’esercitava, poiché cittadini romani erano probabilmente Amulio che dipinse la casa aurea di Nerone, e Cornelio Pino che, unitamente ad Accio Prisco, diedero saggio della loro maestria nelle pitture del tempio della Virtù e dell’Onore restaurato da Vespasiano4; ma certamente in Roma non era generalmente la pittura l’occupazione propria d’uomini ingenui e liberi, siccome in Grecia; e passando alle mani degli schiavi e de’ liberti sotto i primi Ce-
sulto Antistio Labeone, che vissero ai tempi di Augufto, e Turpilio cavaliere romano, che fiorì al tempo di Plinio, come quelli attesta lib. 35. cap. 4. sect. 7.; ovvero saranno stati schiavi di barbare nazioni, o figli loro anche servi, che aveano imparato l’arte in Roma, come quelli, de’ quali si parla nella prima delle leggi, che ho citate pocanzi. E certamente lavoro di quegli schiavi greci non possono essere le pitture delle Terme di Tito; molto meno quelle trovate sul monte Esquilino, che ho citate alla pag. 58., se furono fatte al tempo di Lucilla; e forse neppur quelle del monte Palatino. Non saprei dire di chi siano lavoro le mentovate nozze Aldobrandine; ma bensì credo poter dire francamente, che non sono il celebre quadro di Echione, che fiorì nell’olimpiade cvii. e dipinse nella Grecia, come pretende il signor Dutens Origine des decouv. ec. T. iI. par. iiI. chap. 11. §. 281. pag. 232. n. 2; essendone ben diverso il soggetto, che era una vecchia, la quale con faci in mano faceva scorta ad una novella sposa notabile per l’aria di verecondia, con cui era rappresentata; come credo vada intefo Plinio lib. 35. c. 18. sect. 6. §. 9.: anus lampadas præferens, & nova nupta verecundia notabilis.
- ↑ Vulp. Tab. Antiat. illustr. pag. 17.
- ↑ Plin. lib. 35. cap. 7. sect. 33.
- ↑ Plin. lib. 35. cap. 4. sect. 7.
- ↑ Id. lib. 35. cap. 10. sect. 37. [ Tale dovrebbe essere stato anche Arellio, che si rese celebre in Roma poco prima di Augusto, come scrive Plinio in questo stesso luogo.