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72 Meccanismo della Scultura

gomento sono il nome d’un liberto pittore ai tempi de’ Cesari, serbatosi su un’iscrizione d’Anzio nel Campidoglio1, e ciò che leggiamo d’un portico pur d’Anzio, su cui Nerone da un liberto fece dipingere de’ gladiatori2. E poichè, eccetto alcune poche pitture tratte fuori da un tempio d’Ercolano, le altre tutte, che rimangonci, ornavano le case campestri o altre private abitazioni, è probabile che quelle pure siano lavori de’ liberti. Il mentovato pezzo, fu cui leggesi DIDV, è forse opera d’un liberto nato o educato in Roma. Aggiungansi a queste congetture le lagnanze di Plinio sul decadimento della pittura, ch’egli attribuisce in parte al non essere quell’arte esercitata da persone onorevoli: non est spectata honestis manibus3. E’ vero che non era questa abbandonata ai liberti a segno che si riputasse inonorato chiunque l’esercitava, poiché cittadini romani erano probabilmente Amulio che dipinse la casa aurea di Nerone, e Cornelio Pino che, unitamente ad Accio Prisco, diedero saggio della loro maestria nelle pitture del tempio della Virtù e dell’Onore restaurato da Vespasiano4; ma certamente in Roma non era generalmente la pittura l’occupazione propria d’uomini ingenui e liberi, siccome in Grecia; e passando alle mani degli schiavi e de’ liberti sotto i primi Ce-


sari,


    sulto Antistio Labeone, che vissero ai tempi di Augufto, e Turpilio cavaliere romano, che fiorì al tempo di Plinio, come quelli attesta lib. 35. cap. 4. sect. 7.; ovvero saranno stati schiavi di barbare nazioni, o figli loro anche servi, che aveano imparato l’arte in Roma, come quelli, de’ quali si parla nella prima delle leggi, che ho citate pocanzi. E certamente lavoro di quegli schiavi greci non possono essere le pitture delle Terme di Tito; molto meno quelle trovate sul monte Esquilino, che ho citate alla pag. 58., se furono fatte al tempo di Lucilla; e forse neppur quelle del monte Palatino. Non saprei dire di chi siano lavoro le mentovate nozze Aldobrandine; ma bensì credo poter dire francamente, che non sono il celebre quadro di Echione, che fiorì nell’olimpiade cvii. e dipinse nella Grecia, come pretende il signor Dutens Origine des decouv. ec. T. iI. par. iiI. chap. 11. §. 281. pag. 232. n. 2; essendone ben diverso il soggetto, che era una vecchia, la quale con faci in mano faceva scorta ad una novella sposa notabile per l’aria di verecondia, con cui era rappresentata; come credo vada intefo Plinio lib. 35. c. 18. sect. 6. §. 9.: anus lampadas præferens, & nova nupta verecundia notabilis.

  1. Vulp. Tab. Antiat. illustr. pag. 17.
  2. Plin. lib. 35. cap. 7. sect. 33.
  3. Plin. lib. 35. cap. 4. sect. 7.
  4. Id. lib. 35. cap. 10. sect. 37. [ Tale dovrebbe essere stato anche Arellio, che si rese celebre in Roma poco prima di Augusto, come scrive Plinio in questo stesso luogo.