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ancora alcune statue di legno della mano di quest’artefice1, le quali, malgrado la loro deformità, pareano avere un non so che di divino2. Coevo a Dedalo era Smilide3 figliuolo d’Eucle4 dell’isola d’Egina, il quale fece una Giunone [Smilide] in Argo, e un’altra a Samo5, e che probabilmente è lo stesso che Schelmide mentovato da Callimaco6, come


uno


  1. Paus. lib. 2. c. 4. p. 121. [ Ved. Tom. I. pag 11. e segg.
  2. Il sig. Winkelmann, il quale si è qui proposto d’indicare le opere più insigni degli antichi artisti, di quelle di Dedalo l’ateniese, che pur son opere del padre della statuaria, dà appena un leggerissimo cenno. Noi la scorta seguendo degli antichi scrittori, suppliremo in qualche modo a tal mancanza. A’ tempi di Pausania lib. 9. c. 40. pag. 703. delle opere di Dedalo aveasi un Ercole a Tebe, e un Trofonio a Lebade, e altrettante statue di legno in Creta, cioè una di Britomarte ad Olonte, e una Minerva presso i Gnossi. Conservavano i Delj una piccola Venere, pure di legno, la quale verso i piedi andava a terminare in una base quadrangolare: a tale statua il tempo avea consunta la destra. Tra le opere di Dedalo rammenta altresì quella statua dedicata dagli Argivi a Giunone in Onface, che Antifemo nel sacco della città prese, e trasportò a Gela in Sicilia; ma quella a’ giorni suoi più non esisteva, siccome forse più non esistevano quegli altri due Ercoli di legno del medesimo artista, l’uno de’ quali fu esposto in Corinto, e l’altro ai confini dell’Arcadia, Paus. lib. 2. cap. 4. pag. 121., lib. 8. cap. j. pag. 670. Benché attesti il succennato scrittore aver i Gnossi posseduta pure l’opera famosa di Dedalo, rappresentante una danza, e da lui donata ad Arianna questa tuttavia non doveva esserne l’originale, sì perchè la danza de’ Gnossi era scolpita in marmo bianco, laddove Dedalo non avea fatte che statue di legno, sì perchè la danza suddetta era stata da lui comporta in guisa che le figure moveansi da sé stesse: lo che era impossibile nell’opera posseduta dai Gnossi. Di altre figure semoventi industriosamente congegnate da Dedalo fanno menzione Calistrato Statuæ, n. 8. oper. Phlostr. pag. 899., Platone in Menone, oper. Tom. iI. pag. 97. E., Aristotele De Republ. lib. 1. cap. 4., Luciano in Philopseude §. 19. op. Tom. iiI. pag. 48., Dion Grisostomo Orat. 37. pag. 457. A., e più altri. Vogliono alcuni che abbia egli comunicato ad esse i movimenti coll’argento vivo, ed altri con suste, ruote, e molle occulte. Da queste ingegnose invenzioni nacque presso i posteri la favola, che abbia il medesimo formate statue, dalle quali tutte le funzioni si eseguissero dell’uom vivente. Diodor. Sic. lib. 4. §. 78. p. 321.; siccome dalle vele, di cui egli forse il primo corredò la nave del suo figliuolo Icaro, venne la favola delle ale attaccategli alle spalle per passar il mare a volo. Non solamente fu Dedalo il primo a sistemar la statuaria, ma fece lo stesso coll’architettura. Molte opere architettoniche di sua invenzione riporta Diodoro da Sicilia loc. cit. pag. 322. fra gli antichi, Francesco Giunio Catal. archit. &c. pag. 69. 70., e l’abate Gedoyn Hist. de Déd. Acad. des Inscript. Tom. IX. Mém. pag. 177. seqq. fra i moderni. Un tempio d’Apollo, opera di Dedalo, vantava anche l’Italia fabbricato da lui in Capua, Virg. Æneid. l. 6. v. 19., Sil. Ital. l. 12. v. 102., & Auson. Idyl. 10. v. 301. Plinio altresì lib. 7. cap. 56. sect. 57- con altri scrittori gli attribuisce l’invenzione di molti strumenti spettanti alla meccanica, come la sega [ Seneca Epist. 90.], l’ascia, il filo a piombo, il succhiello, e per sino la colla di pesce. La sega però più comunemente si attribuisce a Talo figlio di sua forella, Diod. Sic. loc cit., Ovid. Metam. l. 8. v. 244:, detto da alcuni Perdice, a cui per invidia della bella scoperta Dedalo tolse la vita, Serv. ad Virg. Georg. lib. 1. v. 143. [ Tzetze Chil. 1. hist. 10. vers. 493. lo chiama Attalo.
  3. Paus. lib. 7. cap. 4. pag. 531.
  4. Il padre di Smilide da Pausania loc. cit. e da altri chiamasi Euclide; anzi pretendono alcuni che egli pure fosse statuario. Appoggiansi questi a un testo di Clemente Alessandrino Cohhort. ad Gent. n. 4. oper. Tom I. p. 41. l. 15., ove si legge σμίλῃ τῇ Εὐκλείδευ (collo scarpello d’Euclide). Il testo però è guasto, a cui sostuir si deve Σμίλιδι τοῦ Εὐκλείδευ, da Smilide cioè figliuolo d’Euclide. Vedasi Giunio Catal. archit. mech. pict. pag. 86.
  5. Atenagora Legat. pro Christ. pag. 292.
  6. in Fragm. num. 105. Tom, I. p. 358.