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XVIII
 
 


da vicino i Turchi, di provarsi con essi e di fare qualche cosa per la causa della libertà. Invano i suoi amici gli dimostrarono che egli avea pienamente soddisfatto agli obblighi contratti coi deputati greci di Londra, con gli amici e con la propria coscienza, e che non era più debitore di nulla a una nazione che non osava di confessare apertamente i suoi servigi.

Rimase fermo nel suo proposito. Si vestì e si armò da semplice soldato, e col nome di Derossi raggiunse il quartier generale a Tripolitza. Poi le forze destinate ad assediare Patrasso essendosi recate a Navarrino minacciata dagli Egiziani, egli si diresse a quella volta con Maurocordato, e dopo aver presa parte al fatto del 19 aprile contro le truppe di Ibrahim Pascià, entrò in Navarrino il dì 21.

Portava sempre addosso il ritratto dei suoi figli. Il 20 aprile, accortosi che alcune goccie di acqua erano penetrate fra il vetro e la miniatura, l’aprì: e volendola asciugare, cancellò a metà la faccia di Teodoro suo primogenito. Questo caso lo afflisse amaramente. Confessò al Collegno che non poteva fare a meno di considerar questo fatto come un presagio funesto; e a un amico a Londra scriveva: Tu ne riderai, ma sento dopo di ciò ch’io non devo più rivedere i miei figli.

Il presidio greco di Navarrino era debole, e non permetteva di pigliar l’offensiva. Nei quindici giorni cui tacque il rumore delle armi, il Santarosa riprese l’uso dei suoi studii. Recitava i canti di Tirteo, meditava Platone e Tacito. Assorto in quella profonda malinconia (scrive il Ciampolini), l’avresti giudicato Bruto nei campi di Filippi, o Catone in quella notte che fu l’estrema di sua vita.

Gli Egiziani strinsero la città ai primi di maggio, quando furono sbandate le forze greche destinate a far