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tiche di lungo assedio, eransi sollevati, avean fatto fuoco sui loro uffiziali, e non era stato possibile contenerli che appuntando loro contro due pezzi di cannone. Il comandante erasi determinato ad aprire una porta di soccorso lasciando da quella uscire gli ammutinati. Il forte Ansaldi, cui nulla avea sgomentato, già si disponeva a rinchiudersi nella cittadella con la guardia nazionale, ma la paura e lo sconforto erano universali, pochi volevano sacrificarsi per una causa disperata. Ansaldi si vide costretto a prendere la strada di Genova con quei pochi soldati che fedeli non vollero abbandonarlo.

Questo colpo funesto, e la generale dispersione delle truppe seguita persino di quei pochi corpi che non avean preso parte ai fatti di Novara, fecero risolvere i capi riuniti in Acqui a recarsi direttamente e senza indugio a Genova.

Ma là pure eran mutate le cose, ed i liberali vi avrebbero rinvenuto catene, se i Genovesi veggendosi costretti ad abbandonare la causa della costituzione, non avessero rivolto le generose lor cure ai doveri dell’ospitalità.

Il generale Della-Torre non avea tardato a ragguagliare le autorità di Genova dei fatti dell’otto di aprile, ingiungendo loro di sottomettersi. Genova si arrese. A pensarlo non si può frenare un primo moto di sdegno, ma bisogna esser giusti. Lo stato delle fortificazioni, lo scarso numero di truppe, gli animi mal disposti di alcuni capi, tutto concorreva a rendere malagevole per i Genovesi una resistenza. Ed in fine da chi sarebbero stati soccorsi? E se ne avrebbe nemmeno avuto il tempo?