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della rivoluzione di roma | 207 |
Se lo spettacolo che porse la processione a san Pietro fu tutto pio e religioso, e confacentesi all’indole dei Romani, non fu già tale quella di che ora diremo.
Ma prima di far ciò, dobbiamo premettere che i progressisti volevano convertire Roma santa e cattolica nella Roma di un giorno empia e pagana, raffigurandosela non più per quella grande reina del cattolicismo, adorna delle palme di tanti martiri suoi figli, insignita del prezioso dono delle chiavi di Pietro e della croce di Cristo; ma sì bene per quella truce guerriera figlia di Marte, che già fu una volta chiusa entro l’usbergo con in capo l’elmo e l’asta in pugno, simbolo di guerra, e terrore del mondo.
Vagheggiando idee così bellicose e profane fin da quando si annunziò in Roma che le donne genovesi avrebber mandato in dono alle romane due pezzi di artiglieria, si profuse così gran copia d’indirizzi e di poesie su ciò, che per parecchi giorni non d’altro che dei cannoni, e dei modi convenevoli a festeggiarne l’arrivo si parlava.1
Quest’arrivo tanto desiderato ebbe finalmente luogo il 2 aprile, venendo con gioia annunziato dai giornali.2 Giunti che furono da Civitavecchia scortati dalla guardia civica di quella città, vennero senza strepito riposti nel cortile di Belvedere. Ed il giorno seguente 3 di aprilè, si celebrò un solenne banchetto in onore dei deputati genovesi, e dei civici di Civitavecchia. Di cotal guisa mettendo a contatto con un convito festevole Romani, Genovesi, e Civitavecchiesi, si venivano a stringere vie maggiormente nodi di nazionalità e di fratellanza. Trascriviamo la descrizione del banchetto, estraendola dalla Pallade:
«Ieri 3 aprile nella bellissima cavallerizza coperta del principe Doria si tenne banchetto da circa 200 cittadini appartenenti ai diversi circoli e casini di Roma ai Genovesi deputati per la consegna dei cannoni, non che a