Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/188


― 176 ―

In sì dolci atti, in sì dolci lamenti
Che parea ad ascoltar fermare i venti,

Il sentimento appena annunziato si scioglie in una immagine fantastica. Il Tasso dice:

In queste voci languide risuona
Un non so che di flebile e soave,
Che al cor gli serpe ed ogni sdegno ammorza,
E gli occhi a lacrimar gl’invoglia e sforza.

Nella forma ariostesca ci è una virtù espansiva, che rimane superiore all’emozione, e cerca il suo riposo non nel particolare, ma nell’insieme: qualità della forza. Nella forma del Tasso ci è l’impressionabilità, che turba l’equilibrio e la serenità della mente, e la trattiene intorno alla sua emozione: l’immagine si liquefà e diviene un non so che, annunzio dell’immagine che cessa e dell’emozione che soverchia:

E un non so che confuso istilla al core
Di pietà, di spavento e di dolore.

Anche tra’ furori delle battaglie la nota prevalente è l’elegiaco come nella ottava:

Giace il cavallo al suo signore appresso.

Ne’ casi di morte gli riesce meglio l’elegiaco che l’eroico. Aladino che cadendo morde la terra ove regnò è grottesco. Solimano che

gemito non spande
Nè atto fa se non altero e grande,

ti offre un’immagine indistinta. Argante muore come Capaneo, ma la forma è concettosa e insieme vaga, e quelle voci e que’ moti superbi, formidabili, feroci, non ti dànno niente di percettibile avanti all’immaginazione. L’idea in queste forme rimane intellettuale, non